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giovedì, luglio 24, 2008

Il cavaliere oscuro

Caos. Inteso non solo come la caratteristica principale della mente del Joker, vero protagonista della pellicola, ma anche come la continua sovrapposizione di sentimenti provati durante la prima visione del film. Un caos inquietante e affascinante al tempo stesso, che pervade la storia de Il cavaliere oscuro ma che giustamente si oppone alla precisione stilistica di Christopher Nolan, oramai consacrato nell'Olimpo hollywoodiano come uno dei registi più talentuosi e costanti di oggi. Al suo secondo episodio nel mondo dell'uomo pipistrello, Nolan ha scelto di abbandonare qualsiasi tipo di lungaggine narrativa preferendo girare un film quasi essenziale e frammentario nel suo procedere seguendo gli inarrestabili sviluppi che tengono il ritmo serratissimo per le due ore e mezzo di durata del film. Non è questione di "aura maledetta" e viral marketing, questi sono aspetti che hanno giovato per lo più alla pubblicizzazione dell'opera, Il cavaliere oscuro, grazie alla qualità della sua fattura, sarà già da ora una pietra miliare del cinema di genere e non deluderà neanche coloro che non hanno passione per i cosiddetti comic-movies. Nolan, grazie a una sceneggiatura decisamente migliore rispetto a quella scritta per Batman Begins, è riuscito a portare sullo schermo dei personaggi già noti dando nuova linfa ad ognuno di loro. Su tutti prevale quello magistralmente interpretato dal compianto Heath Ledger, un Joker psicopatico e anarchico che ha ben poco a che vedere con quello "cattivello" interpretato da Jack Nicholson 19 anni fa e che difficilmente uscirà dalla memoria dello spettatore. Non solo Joker però, anche Batman trova una nuova "maturità" e prosegue sull'accidentato percorso iniziato nel film precedente, merito anche della prova di Christian Bale, che sullo schermo è sempre all'altezza delle aspettative. Insieme a lui anche il procuratore distrettuale Harvey Dent, un bravo Aaron Eckhart, il maggiordomo Alfred, il solito egregio Michael Caine, l'amministratore delegato della Wayne Inc. Lucius Fox, Morgan Freeman, e il poliziotto Jim Gordon, Gary Oldman. Un cast incredibile al servizio di un film riuscitissimo nelle scelte tecniche ed espressive, basti pensare agli effetti speciali visivi e sonori o alle musiche di James Newton Howard e Hans Zimmer.

Per dirla in parole povere, un capolavoro.

Voto: 9 / 10

sabato, maggio 24, 2008

Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo

Parliamone. Io negli ultimi 19 anni della mia vita ho fatto tante cose, alcune positive, altre no. Soprattutto però non ho scritto una sceneggiatura tirando a caso una coppia di dadi personaggio/situazione. Pare che invece David Koepp si sia dilettato in questo modo per scrivere la sceneggiatura di Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo e soprattutto pare che sia stato pagato per questo.
Partendo da questo malandato presupposto, il buon vecchio Steven Spielberg fa quello che può per tirare avanti la baracca e tutto sommato salva in corner un film che in potenza poteva essere un fiasco completo. Il problema è che poteva (e doveva!) essere un capolavoro. Grazie alla mano del regista, che io continuo ad adorare in maniera "dawsoniana", ne escono quindi alcune sequenze molto riuscite, come quella citata ovunque dell'inseguimento nella giungla (bellissima sì, ma un po' troppo lunga dai), alternate però a momenti decisamente più scadenti. Vogliamo parlare dell'interrogatorio dell'FBI? Vogliamo parlare dell'arrivo nel cimitero? Vogliamo parlare del finale? No, non vogliamo.
A ben riflettere comunque il vero problema è quello che traspare già dal titolo: il teschio. Se facciamo un inevitabile paragone, il teschio di cristallo sta alll'Arca (o al Graal) come Shia La Beouf sta a Sean Connery. Funziona, fa il suo dovere, ma non ha lo charme necessario alla situazione, gli manca decisamente il physique du rôle. La stessa cosa vale anche per il personaggio interpretato da Cate Blanchett, monodimensionale oltre ogni immaginazione. Per fortuna in mezzo a tutto questo ci sono anche degli aspetti positivi, su tutti l'intepretazione di Harrison Ford, sessantacinquenne ma ancora perfettamente in forma. Già, perché in fin dei conti il merito del successo va tutto a lui e al suo personaggio, unica vera colonna del film, peccato che non bastino una frusta e un cappello a fare un film.


Voto: 6 / 10

martedì, maggio 06, 2008

Iron Man

Personalmente Iron Man non è mai stato uno dei miei eroi preferiti, per quanto riguarda casa Marvel, essendo sempre stato più affezionato a figure come quella di Peter Parker, piuttosto che Tony Stark. Ma ciò che vale per i fumetti su carta, non vale per quelli su pellicola. Dal 2000, anno di produzione del primo X-Men, i film a carattere superomistico sono diventati una delle produzioni di punta del panorama hollywoodiano. In questa ondata di comic-movies però, sono pochi quelli che si salvano dal giudizio critico. Iron Man è uno di questi.
Jon Favreau mi aveva inizialmente fatto dubitare del progetto, ma alla fine mi sono dovuto ricredere. La prima produzione Marvel è, mi si perdoni il brutto gioco di parole, la prima produzione Marvel. Quello che intendo dire è che per la prima volta il film che scorre sullo schermo è davvero una trasposizione del fumetto creato da Stan Lee. Negli altri casi, anche illustri (leggi i film di Raimi o di Singer), c'era sempre qualcosa che impediva la sinergia tra le strip e le scene. Non so se il merito sia davvero di Favreau, del quale sinceramente non smetto di dubitare, ma rimane il fatto che Iron Man è un film di intrattenimento in piena regola. Il film scorre veloce e divertente per tutta la sua durata, senza insistere eccessivamente sulle consuete questioni esistenziali o su morali forzate. E le scene più puramente action, beh, fanno il loro sporco dovere.
Sicuramente ha giovato alla produzione la presenza di Robert Downey Jr., che interpreta Tony Stark divertendosi e divertendo il pubblico, in un ruolo che sembra gli sia stato costruito addosso: perfetto. Meno entusiasmante invece la prova dell'irriconoscibile Jeff Bridges, villain a mio avviso poco affascinante nonostante il massiccio look finale. Infine non posso che gioire per la presenza della bella e brava Gwyneth Paltrow, inspiegabilmente scomparsa dalle scene (importanti) per diversi anni.
Leggo in giro che è bene restare fino alla fine dei titoli di coda. Io non l'ho fatto, me tapino.

Voto: 7 / 10

martedì, marzo 25, 2008

Spiderwick - Le cronache

Come si suol dire, "Pasquetta bagnata, Pasquetta sfigata". Ecco perché invece di andare a prendere una boccata d'aria sono finito al cinema e essendo già abbastanza di malumore, ho temporaneamente rimandato il film di Sidney Lumet per vedere questo fantasy, che nonostante la mia diffidenza post-Narnia verso il genere mia ha comunque portato in sala abbastanza curioso e moderatamente speranzoso.
Assieme al fratelo gemello Simon (Freddie Highmore), la sorella Mallory (Sarah Bolger) e la madre Helen (Mary-Loiuse Parker), il giovane Jared (sempre Highmore) si trasferisce nella casa del lontano parente Arthur Spiderwick (David Strathairn). In seguito a un incidente domestico, entra in possesso del manuale scritto dal prozio, contenente tutti i segreti del mondo fatato che li circonda. Leggendolo però risveglia il desiderio dell'orco Mulgarath, che farà di tutto per entrarne in possesso e diventare la creatura più potente del mondo. Ai due gemelli e alla sorella maggiore spetterà il compito di proteggere se stessi e il magico libro.
Il regista Mark Waters, dopo un paio di commedie per teen-agers e una un po' più adulta, torna a un target giovanile con un genere a lui nuovo. Il passaggio al fantasy gli riesce discretamente bene, adattando la serie di racconti omonimi di Tony DiTerlizzi e Holly Black. La mia impressione è che il regista abbia scelto di girare un film senza troppe pretese, rispettando le aspettative del giovane pubblico e facendo tutto sommato il lavoro onesto che ha svolto negli ultimi anni. Non sarà un film trascendentale, ma il mondo delle cronache di Spiderwick tutto sommato fa il suo dovere come film di intrattenimento, anche per gli adulti (pochi) in sala. E a questo punto poco importa se i dilemmi esistenziali e i problemi familiari rappresentati hanno la consistenza di un tovagliolo, quello che importa è salvare il libro e sconfiggere l'orco.

Voto: 6 / 10

lunedì, marzo 10, 2008

Sweeney Todd: Il diabolico barbiere di Fleet Street

Febbraio è stato un mese foriero di grandi film. Nel mese più corto dell'anno, anche se quest'anno era un pochino più lungo, sono state programmate uscite importantissime, che per una volta ci hanno messi davanti all'imbarazzo della scelta per andare al cinema. E adesso? La risposta la sapete anche voi. A parte qualche rara occasione, per il resto è calma piatta.
Benjamin Barker, a.k.a. Sweeney Todd (Johnny Depp), è stato giustamente incarcerato per 15 anni dal crudele giudice Turpin (Alan Rickman), innamorato della moglie del barbiere. Al suo rilascio, la vittima diventa carnefice e inizia la sua vendetta contro la società corrotta di Londra grazie all'aiuto della signora Lovett (Helena Bonham Carter), che lo aiuta a far sparire i cadaveri delle sue vittime facendone pasticci di carne.
Sweeney Todd, da me tanto atteso in quanto fan sfegatato di Tim Burton, mi ha lasciato un po' perplesso. Intendiamoci, è film ottimamente girato e interpretato, con delle atmosfere veramente cupe ed inquietanti e una fotografia ben realizzata, ma c'è qualcosa che non mi ha convinto. Forse la colpa è dell'eccessivo hype, ma mi aspettavo di uscire dal cinema con un rasoio in mano desiderando mettere sotto i ferri i passanti e invece non è andata così. La cupezza della messa in scena burtoniana comunque rimane di grande impatto, e la morale (o meglio la sua assenza) probabilmente colpisce più a fondo di altre volte, quindi c'è poco di cui lamentarsi, ma forse averlo visto tra Il petroliere e Non è un paese per vecchi non ha giovato, o forse il detto "squadra che vince non si cambia" in questo caso ha attecchito un po' troppo.

Voto: 7 / 10

domenica, marzo 09, 2008

Juno

Innanzitutto Juno ha un grandissimo pregio. Ho letto su Repubblica un articolo di Natalia Aspesi e per una volta mi sono trovato d'accordo con lei. Son cose che fanno pensare eh. Poi è chiaro che 7yearwinter è più tagliente nella polemica contro il tentativo di sfruttamento del film da parte dei teocon antiabortisti, che se tutto va bene non avranno nemmeno visto il film ma si baseranno sulla sinossi letta chissà dove.
La sedicenne Juno (Ellen Page) rimane incinta dopo aver avuto un rapporto decisamente occasionale con l'amico Paulie (Michael Cera). Dopo aver fugato i dubbi sull'interruzione della gravidanza, decide di portarla avanti e dare poi il nascituro in affidamento a una giovane coppia. Lei (Jennifer Garner) non vede l'ora di diventare mamma ed è già pronta a fare il grande passo, al contrario di lui (Jason Bateman) che invece è un po' più riluttante, passando le giornate tra musica rock e film horror, hobbies che gli valgono l'amicizia della teenager ma che lo mettono in conflitto con la moglie.
Dopo Thank You For Smoking, Jason Reitman dirige un'altra commedia intelligente ed equilibrata nel dosaggio di dolcezza e amarezza, conquistando lo spettatore con questa riuscita ricetta. Certo, il merito va anche alla protagonista Ellen Page, molto brava e molto bella, che con il pancione e quel look indie, che pervade tutta l'atmosfera del film, è decisamente irresistibile. Juno probabilmente non entrerà nella storia del cinema, ma come episodio della serie "film indipendente di successo dell'anno" direi che è andata meglio di altre volte. Divertente e intelligente, è una commedia ben scritta sulla conquista della maturità che non farà rimpiangere i suoi predecessori in materia ma che anzi fornirà qualche elemento di riflessione in più agli spettatori-target. O almeno così si spera.

Voto: 7 / 10

lunedì, marzo 03, 2008

Il petroliere

Si può tralasciare qualsiasi commento sull'adattamento del titolo italiano: quando There Will Be Blood diventa Il petroliere, è "meglio chiudersi in un dignitoso silenzio". Meglio quindi passare oltre.
E' la fine del diciannovesimo secolo e negli Stati Uniti sono molti gli uomini che si mettono alla ricerca di giacimenti petroliferi sulla scia della seconda rivoluzione industriale. Daniel Plainview (Daniel Day-Lewis) si definisce appunto un cercatore di petrolio e viaggia in lungo e in largo in compagnia del figlio "acquisito" H.W., alla ricerca di concessioni e terreni sfruttando l'immagine del figlioletto. A Little Boston il protagonista ottiene il massimo del proprio successo lavorativo, ma allo stesso tempo iniziano anche gli inarrestabili problemi umani, legati alla figura del predicatore Eli Sunday (Paul Dano).
Paul Thomas Anderson torna al cinema dopo 5 anni di assenza per scrivere e dirigere un affresco cinico e disilluso di quello che è il processo fondativo della società statunitense e lo fa contrapponendo sapientemente lo spietato liberismo del protagonista e l'ottuso bigottismo della sua controparte religiosa. Paul Dano, bravissimo antagonista nonché rivelazione della pellicola, riesce quasi a tenere testa alla grandezza e alla magistralità di Daniel Day-Lewis, sulle cui spalle si regge l'intero film e che regala l'ennesima interpretazione da manuale, giustamente premiata con la statuetta dell'Academy. Peccato che un film così intenso e carico di significati verrà visto da pochissime persone, respinte da un titolo idiota e fuorviante.

Voto: 8 / 10

Parlami d'amore

Torno al blog dopo tre settimane di silenzio causa laurea (triennale). Di film ne ho visti parecchi, compresi alcuni premiatissimi dall'Academy, ma mi sembrava giusto cominciare dal PEGGIORE di questi, giusto per rientrare in carreggiata e riprendere un po' la mano, intorpidita dal lungo silenzio.
Sasha (Silvio Muccino) è cresciuto in una comunità di tossicodipendenti e ora per guadagnarsi da vivere sta restaurando la casa di uno dei benefattori della comunità, che tra parentesi è pure il padre della ragazza di cui il protagonista è innamorato. Nicole (Aitana Sanchez Gijon) è una psicanalista francese, scappata dal Paese natio dopo aver perso un paziente. La disfunzionalità sociale dei due personaggi inizia a risolversi dopo un incontro fortuito e grazie alla complice presenza di un cane abbandonato.
Siilvio Muccino, dopo aver "scritto" il libro da cui è tratta la pelilcola, tenta goffamente di seguire la strada intrapresa dal fratello e si mette dietro la macchina da presa. Probabilmente se si fosse limitato a dirigere un copione altrui il risultato sarebbe stato meno infame, ma visto che Muccino junior si è occupato di tutti i processi produttivi del film, non può fare altro che prendere atto del proprio fallimento e fare un sentitissimo mea culpa. L'ambizione, o meglio la presunzione, di scrivere, dirigere e interpretare un film "drammatico" come questo è stata la condanna del giovane regista. Sono abbastanza sicuro comunque che se avesse diretto Scusa se ti chiamo amore (che non ho visto, ma le pregiudico lo stesso), avrebbe fatto meglio di Federico Moccia. Forse volando un po' più basso il tonfo sarà meno eclatante.

Voto: 4 / 10

martedì, febbraio 12, 2008

L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford

Mi è stato fatto notare che ultimamente la media dei voti si è alzata un po' troppo, ma non è colpa mia. Dopo qualche mese in cui per un motivo o per l'altro non sono riuscito a vedere tutto quello che mi interessava, ora sto riuscendo a recuperare i film che avevo perso. Va da sé che mi metto alla ricerca solo dei titoli che penso possano essere validi, tralasciando le boiate. Riporterò la media a un livello consueto guardando qualche schifezza, lo prometto.
Jesse James (Brad Pitt) non ha bisogno di presentazioni, è stato una delle più grandi leggende del mito del Far West. Ma il suo lato pubblico, leggendario e affascinante, è compensato da un privato oscuro, tormentato, che lo porta tragicamente alla morte nel 1882. A ucciderlo è il giovanissimo Robert Ford (Casey Affleck), che dopo un breve periodo di gloria per l'omicidio commesso, si perde nell'autocommiserazione e nel pentimento per l'infame tradimento perpetrato nei confronti di quello che una volta era il suo eroe.
Ispirandosi alla vera storia di Jesse James, Andrew Dominik scrive e dirige un western anticonvenzionale, in cui al tema della frontiera viene preferito il raffinato tratteggio psicologico dei due protagonisti, magistralmente intepretati da Brad Pitt (premiato a Venezia con la Coppa Volpi) e Casey Affleck (bravissimo e giustamente candidato all'Oscar). Entrambi valgono la visione in lingua originale per poter godere fino in fondo della loro recitazione. La bellezza della fotografia di Robert Deakins poi non fa che rendere ancora più affascinante il film, nonostante la sua lunghezza che però personalmente non ho accusato in maniera eccessiva. Purtroppo però il film è stato vittima di una distribuzione inconsistente e non credo avrà grande successo neanche in homevideo.

Voto: 8 / 10

lunedì, febbraio 04, 2008

Cloverfield

Mi sono dovuto trattenere. Se avessi scritto un post su Cloverfield appena tornato dal cinema sarebbe stato un insieme di onomatopee e di versi, simili a quelli di un tifoso di football durante il Superbowl. Per fortuna invece sono riuscito a controllare l'entusiasmo e a mitigarlo fino a oggi, giorno in cui mi sento pronto per scrivere perché questo è un gran bel film.
Rob (Michael Stahl-David) è in partenza per il Giappone per motivi di lavoro. Durante la festa di addio però qualcosa attacca New York, distruggendo la Statua della Libertà e seminando il panico tra la gente. Mentre tutta la città cerca una via di fuga, Robert decide di tornare indietro per salvare la sua ragazza, aiutato da Lily (Jessica Lucas), Marlena (Lizzy Caplan) e l'amico Hud (T.J. Miller), che riprende tutto l'evento con una videocamera.
Le immagini che scorrono sullo schermo sono proprio quelle riprese da Hud e lo spettatore non può che ritrovarsi catapultato nel bel mezzo dell'azione, catturato dalla regia in soggettiva e dalla frenesia delle scene. Prodotto da J.J. Abrams e diretto da Matt Reeves , ovvero due delle menti dietro il successo di Lost, Cloverfield è un film che ti lascia aggrappato alla sedia per un'ora e mezzo, senza un attimo di tregua. Questa volta, l'esperimento della soggettiva, fallito miseramente in un'altra celebre occasione, a mio avviso funziona egregiamente. E' curioso anche accorgersi a film finito della totale assenza di colonna sonora, che solitamente è uno dei pilastri di una pellicola, almeno dal punto di vista emozionale.

Voto: 8 / 10